LA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI.

Le riforme istituzionali e il referendum.

Negli ultimi anni è stato un continuo riproporsi di riforme istituzionali, che riguardano cioè l’assetto, le articolazioni e l’organizzazione delle varie Istituzioni dello Stato: dal Parlamento giù giù fino alle province e alle società pubbliche.

Alcune di esse sono diventate leggi dello Stato con procedura ordinaria, altre di rilevanza costituzionale sono state approvate, diventando definitivamente leggi, oppure, votate dal Parlamento, non hanno superato lo sbarramento del referendum costituzionale: da un lato, abbiamo avuto la modifica del titolo V° della Costituzione e l’istituzione delle città metropolitane nel 2001, la previsione dei Parlamentari all’estero sempre nel 2001, l’introduzione del pareggio di bilancio obbligatorio nel 2012, tanto per fare degli esempi, ma, dall’altro, anche proposte che, approvate dal Parlamento con una maggioranza inferiore a quella prevista per modificare la Costituzione, non sono state ratificate dal referendum previsto per legge.
Infatti, quando una legge di revisione costituzionale non è approvata con la maggioranza qualificata dei due terzi dai componenti di ciascuna camera, può essere sottoposta a referendum popolare. È l’articolo 138 della Costituzione che lo prevede:

«Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a
referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a
referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti».

Il caso specifico: la riduzione del numero dei Parlamentari.

Nel caso specifico, lo scorso ottobre, la Camera ha approvato, al termine del previsto iter bicamerale, una modifica agli articoli 56, 57, 59 della Costituzione, con la quale viene prevista una riduzione del numero dei Parlamentari: da 630 seggi a 400 per la Camera dei Deputati e da 315 seggi a 200 per il Senato. In entrambi i rami del Parlamento, tuttavia, pur avendo avuto la maggioranza assoluta, la riforma non ha raggiunto i due terzi previsti dei voti, così un numero congruo di Senatori ha chiesto, come da art. 138 della Costituzione, di sottoporre la norma approvata, ma non ancora promulgata, a referendum

Il referendum si svolgerà, salvo particolari eventi, il 20 e il 21 settembre. Saremo chiamati arispondere al seguente quesito:

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei Parlamentari", approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - Serie generale - n° 240 del 12 ottobre 2019?».

Se la maggioranza di coloro che esprimeranno il voto, voterà , la legge sarà definitivamente approvata e promulgata; se, invece, la maggioranza risponderà no, la legge non sarà promulgata e decadrà.
In questo tipo di referendum non è previsto un quorum per i votanti, come invece avviene per il referendum abrogativo: per cui, qualunque sia il numero dei cittadini che si recheranno al voto il referendum sarà valido.

Cosa accade oggi nei vari Paesi europei?

Pur essendo ovviamente diverse le leggi e la tipologia delle assemblee nei vari Paesi, vale la pena fare un confronto con alcuni dei principali Paesi europei, in cui talvolta sono in vigore norme che prevedono assemblee a numero variabile come avviene in Germania per l’assise parallela alla nostra Camera dei Deputati (Bundestag).
Si devono inoltre considerare le diverse funzioni svolte dalle due Camere: in alcuni Paesi vige il bicameralismo perfetto, in altri le differenti funzioni determinano numeri diversi e modalità di elezione diversa rispetto all’elettorato popolare.
Se si facesse però la somma dei Parlamentari delle Camere dei Paesi europei, scopriremmo un dato singolare: l’Italia ha circa 1,6 Parlamentari ogni 100.000 abitanti, la Polonia e la Francia 1,4, la Spagna 1,3, la Germania 0,8, ma l’Irlanda 5,5, la Svezia 3,7, la Danimarca 3,2, l’Austria 2,9 e tutte le altre nazioni sono abbondantemente sopra i nostri numeri, cioè, se stilassimo una graduatoria a livello europeo, l’Italia sarebbe in basso alla classifica non in alto. Con la riforma, di cui stiamo discutendo, il rapporto ci vedrebbe addirittura in fondo alla lista: aumenterebbe infatti il numero degli abitanti per ogni Deputato ed ogni Senatore eletto.

Democrazia e rappresentanza.

Il tema centrale è quello della rappresentanza dei territori e delle persone, dei loro diversi orientamenti politici: non sarà stata casuale la scelta dei padri costituenti in un’Italia, che aveva allora (1948) 46.210.000 abitanti (oggi sono: 60.359.546), quando decisero che doveva esserci un Deputato ogni 80.000 abitanti (o frazione superiore a 40.000) e un Senatore ogni 200.000 abitanti (o frazione superiore a 100.000). La qual cosa ci porterebbe oggi ad avere un numero di Parlamentari molto più alto dell’attuale e fluttuante in base alla popolazione. Nel 1963 furono modificati gli articoli della Costituzione che prevedevano queste norme e vennero fissati i numeri attuali: 630 Deputati e 315 Senatori.
C’è poi in gioco molto di più di quanto non appaia: ci sono in gioco la democrazia parlamentare e la centralità del Parlamento, che, è giusto dirlo, ha subito negli ultimi decenni spallate non da poco in nome di snellimento dei tempi e velocità di decisioni, talvolta esigenze reali, talvolta presunte e di comodo.
La deriva antiparlamentare è sotto gli occhi di tutti, ma inspiegabilmente non fa paura, forse perché si spera che ci tolga dall’incomodo di pensare! Così accade per il sentimento diffuso contro la politica in generale: l’antipolitica.
La democrazia, cosiddetta, diretta, quella del click a casa propria attrae: è meno impegnativa e permette a ciascuno di fare gli affari propri: fino a quando? E poi sarà così vero? Chi decide la domanda da sottoporre al click? Chi “organizza” la risposta? Come avviene il controllo contro le manipolazioni?
In questo i partiti fanno spesso, in negativo, la loro parte: decisioni verticistiche che hanno bisogno non di gruppi parlamentari che concorrano all’elaborazione di idee e contenuti, ma di Parlamentari che al momento giusto obbediscano al capo. Se ci rassegnassimo a questo, tuttavia, si potrebbero eliminare quasi del tutto i gruppi Parlamentari ed anche la riduzione in esame non sarebbe sufficiente!
Discussione, condivisione, relazione sono elementi fondamentali per una politica che voglia essere, nel cuore e nell’intelligenza, democratica: questa dovrebbe essere l’essenza di un partito politico, questo il sistema attraverso cui leggere i bisogni del Paese e dei cittadini (e delle persone!) che vi abitano e trovare le risposte a cui chi sceglie di fare politica è moralmente tenuto.

La rappresentanza: questione di democrazia o di costi?

Oggi c’è un argomento molto diffuso in questo dibattito: è la questione dei costi della politica.
Accanto a un tema più generale di moralizzazione dei comportamenti in politica, che non va sottaciuto, molti analisti tuttavia hanno rilevato come il taglio dei Parlamentari non contribuisca certo a migliorare l’economia del Paese, neppure se lo si lega ad una serie di provvedimenti volti a togliere indennità di funzione, cioè i compensi, ad altri livelli istituzionali (basti pensare ai Presidenti di provincia, che devono essere obbligatoriamente scelti tra i Sindaci in carica: se viene scelto il Sindaco di un piccolo comune con indennità minima o nulla, non potrà neppure di fatto, non di diritto, chiedere l’aspettativa dal lavoro, perché non riuscirebbe a vivere, ed è chiaro che, facendo il Sindaco e il Presidente della provincia e lavorando, al di là degli enormi sacrifici personali, qualcosa alla fine rischia di non andare per il verso giusto!).
Ma perché questa insistenza sui costi? Il vento dell’antipolitica spira ormai da molti anni nel nostro Paese ed è questo il limite della legge che verrà sottoposta al referendum, perché l’antipolitica ne è il principale movente, il principio ispiratore, che ha trovato terreno fertile nell’accondiscendenza acritica e passiva e nella sottovalutazione delle implicanze, della maggioranza dei partiti, che, per altro, in questi mesi faranno finta di fare campagna elettorale.
Il Movimento 5 stelle, che si fa vanto di tutto ciò, non si interroga mai sulle conseguenze delle proprie azioni; in questo caso, sulle conseguenze destabilizzanti per il sistema Istituzionale e sul percorso antidemocratico intrapreso.

La mancata connessione con la legge elettorale, ma non solo.

Ciò che risulta ancora più assurdo in questa vicenda è la mancata connessione con una legge elettorale che consenta al cittadino almeno di avere voce in capitolo nella scelta dei propri rappresentanti, per cui un’eventuale riduzione del numero dei Parlamentari potrebbe essere astrattamente accettabile.
Questo può avvenire anche con sistemi elettorali diversi, ad esempio: il sistema maggioritario con collegi uninominali, dove primarie serie e regolate per legge consentano di scegliere il candidato (non individuato, come è accaduto in passato, a seguito dello spoglio, effettuato dalle oligarchie partitiche, tra collegi vincenti, dove mettere d’imperio gli amici, e collegi perdenti, dove mettere chi capita); oppure il sistema proporzionale su liste con preferenza, dove, appunto, il cittadino sceglie la persona a cui dare la preferenza. In entrambi i casi il cittadino avrebbe voce in capitolo.
Poi si potranno introdurre limiti con sbarramenti o con spinte ad alleanze preelettorali di liste o altri correttivi; questo attiene più alla governabilità, ma qui non è possibile affrontare compiutamente l’intera questione.
Perché il tema resta questo: il cittadino deve decidere; il cittadino non è arbitro solo nella scelta in generale dell’orientamento politico, ma anche nella scelta concreta e precisa dei propri rappresentanti, a cui poter chiedere puntualmente conto di scelte e di comportamenti e da cui ottenere risposte esaurienti circa le motivazioni delle scelte via via compiute: meno Parlamentari con l’attuale sistema elettorale porterebbe di fatto a un maggior potere delle élites dei partiti nella scelta degli stessi, con il relativo pesante e autoritario condizionamento nel loro voto, oltre che a una decisa compressione delle forze magari minoritarie, ma vive nella cultura politica del Paese.
Non essendosi, poi, occupato nessuno delle conseguenze legate alla riduzione del numero dei Parlamentari al di fuori di un quadro istituzionale articolato, si avranno, per il Senato, le regioni medio-piccole che vedranno sostanzialmente dimezzato il contingente di Senatori loro assegnato, con relativa mancata rappresentanza o scarsa rappresentanza di alcune forze politiche e di alcuni territori.
Ancora, solo a titolo di esempio: le commissioni parlamentari sono il perno dell’attività parlamentare, perché svolgono la maggior parte del lavoro delle due assemblee; esse dovranno necessariamente essere ridotte nel numero e nei componenti. Avremo meno commissioni “specializzate”, a danno probabilmente delle competenze, ma soprattutto che ne sarà della funzione deliberante attribuita talvolta alle commissioni per evitare gli intasamenti del dibattito in aula? Come si farà a garantire con le attuali norme la rappresentanza di tutte le forze elette?
E, infine, ma non alla fine per importanza, resta sul tappeto la riflessione che andrebbe affrontata sulle funzioni e i poteri delle due Camere, riflessione su cui gli studiosi hanno già aperto un serio dibattito: restare nel bicameralismo perfetto, le due Camere continueranno cioè a fare in tutto le medesime cose, o cominciare a pensare ad una differenziazione per poteri, funzioni e materie? Entrambe le posizioni hanno punti di forza e punti di debolezza, ma che si debba affrontare seriamente la discussione relativa è fuor di dubbio.

Riforma o non riforma?

Non è che la Costituzione non possa essere riformata, ma ciò deve avvenire in un quadro complessivo, in cui il legislatore si fa carico con responsabilità delle conseguenze. La riforma costituzionale non si può fare sull’ondata emotiva dell’opportunismo, sulla conta quotidiana dei followers, di coloro che seguono il proprio beniamino politico del momento, che, magari, domani abbandoneranno per qualcun altro, o sempre sulla conta degli i like, perché oggi magari posso dire che una cosa “mi piace”, domani, cambio pulsantino (neanche quello è più reale, materiale!) e dico “non mi piace”: questa è la politica del disimpegno, della smaterializzazione delle relazioni, della perdita della dimensione sociale, collettiva e comunitaria, perché – gioverà ricordarlo – siamo dentro un tessuto di relazioni, nessuno di noi vive staccato e isolato dagli altri, e la politica resta un formidabile strumento per affrontare insieme e risolvere i problemi di una comunità civile.
Bisognerebbe che i cittadini prestassero più attenzione all’antipolitica e al populismo: fanno bene, forse, alla pancia, ma fanno male alla Democrazia, in sostanza fanno male al popolo, fanno male a ciascuno di noi.

Daniela Mazzuconi

Continuando a navigare, accetti l'uso dei cookie per migliorare e personalizzare la tua esperienza di navigazione sul sito