Principali proposte e azioni 

  • Approveremo una legge che riconosca il valore legale erga omnes del trattamento economico complessivo dei contratti collettivi firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative per debellare i “contratti pirata” e che introduca un salario minimo contrattuale, seguendo il modello tedesco, nei settori a più alta incidenza di povertà lavorativa, con una soglia minima affidata alla proposta delle parti sociali e che comunque rispetti i parametri della direttiva europea (attualmente per l’Italia, secondo alcune stime pari a circa 9 euro lordi orari); 
  • Dopo l’introduzione del salario minimo e del Reddito di Cittadinanza (che andrà opportunamente ricalibrato secondo le indicazioni della Commissione Saraceno) completeremo il sistema con un altro meccanismo: l’integrazione al reddito dei lavori poveri (in-work benefit), come proposto dalla Commissione sul lavoro povero 
  • Ci impegniamo alla piena realizzazione delle misure previste dal PNRR sulle politiche attive. In questo quadro occorre rendere strutturale il Fondo nuove competenze e il contratto di espansione e rafforzare i centri per l’impiego; 
  • Mai più stage gratuiti. Renderemo l’apprendistato il principale strumento di ingresso nel mercato del lavoro e prevederemo l’abolizione degli stage extra curriculari salvo quelli attivati nei 12 mesi successivi alla conclusione di un percorso di studi, comunque retribuiti e della durata massima di 12 mesi, così da assicurare che lo strumento torni a rappresentare un’occasione di formazione (e non più di lavoro mascherato e sottopagato, come spesso accade ora). I tirocini che siano effettivamente parte integrante dei curricula di studi (c.d. curriculari) devono avere durata limitata, prevedere rigidi controlli su eventuali abusi e sulla sicurezza e adeguate forme di rimborso delle spese effettivamente sostenute (attraverso l’istituzione di un Fondo dedicato presso il Ministero dell’Istruzione). 
  • Rafforzeremo la lotta al precariato, con un intervento sui contratti a tempo determinato, riproponendo la necessità di introdurre la causale fin dall’inizio del rapporto di lavoro, valorizzando la contrattazione collettiva, rendendo strutturalmente più vantaggioso il contratto a tempo indeterminato rispetto a quello a tempo determinato; 
  • Continueremo la lotta al lavoro nero e sommerso, proseguendo nel rafforzamento dei controlli e puntando sulle migliori pratiche adottate in questi anni. Il modello di riferimento è il c.d. Durc sulla congruità della manodopera, introdotto nel settore dell’edilizia; 
  • Ci impegniamo per la piena applicazione della legge sul caporalato e per l’equa retribuzione per lavoratori e lavoratrici, proseguendo il rafforzamento dei controlli e introducendo misure per superare la condizione di vulnerabilità di chi denuncia lo sfruttamento; 
  • Vogliamo estendere a tutti gli appalti pubblici della clausola di premialità per l’occupazione giovanile e femminile che abbiamo fatto inserire in via sperimentale nel PNRR, così da sostenere le imprese che si impegnano a creare lavoro stabile e rafforzare l’inclusione sociale; 
  • Approveremo una legge per garantire equo compenso in tutti i rapporti dove il committente non è persona fisica e che preveda la sanzione in capo esclusivamente al committente; 
  • Vogliamo anticipare la proposta Ue sui lavoratori delle piattaforme online, assicurando trasparenza sul funzionamento degli algoritmi, che devono essere oggetto di contrattazione collettiva, ponendo in capo alle piattaforme l’onere della prova circa l’identificazione del tipo di rapporto di lavoro che si presume subordinato; 
  • Vogliamo promuovere lo smart working, anche ai fini di favorire le esigenze di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, di ridurre le emissioni di agenti inquinanti e di migliorare, nel contempo, la vivibilità dei centri urbani e rivitalizzare i piccoli borghi sempre più spopolati; 
  • Vogliamo introdurre disincentivi al ricorso al part time involontario e, contestualmente, la promozione di progetti di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, legati a una più razionale organizzazione dell’attività di impresa e a un aumento della produttività; 
  • Ci impegniamo a proseguire nell’adozione di principi di responsabilità sociale e di forme di democrazia economica nella governance delle grandi imprese, nonché nell’introduzione di normative più stringenti contro le delocalizzazioni frutto di scelte meramente speculative, per garantire reali processi di reindustrializzazione, prevedendo premialità e sanzioni. 

Italia 2027: la nostra visione 

Il lavoro è il fondamento su cui costruiamo l’intera impalcatura della nostra società. L’Italia deve dare sempre più dignità ai lavoratori e alle lavoratrici, soprattutto quelli oggi più vulnerabili. 

Ciò risulta ancora più urgente alla luce della condizione di precarizzazione del lavoro che caratterizza il nostro mercato del lavoro, e che non è accettabile. 

Gli sforzi del Ministero del Lavoro in questo anno, di tutelare meglio lavoratori e imprese con la riforma degli ammortizzatori sociali e di incentivare l’occupazione di qualità, hanno portato alcuni frutti: il tasso di occupazione nel mese di giugno 2022 ha raggiunto il massimo storico del 60,1%, trainato soprattutto dai contratti a tempo indeterminato che sono aumentati di oltre 100mila unità. 

Al tempo stesso, però, crescono i contratti precari: nel mese di maggio 2022 è stato registrato anche il record di contratti a tempo determinato, che riguardano oltre 3,14 milioni di lavoratrici e lavoratori. Cresce il lavoro discontinuo, precario e, dunque, povero, con bassi salari. 

E sono soprattutto i giovani a lavorare sempre meno: nell’ultima relazione annuale dell’Inps si segnala che le giornate retribuite di un giovane under 30 nel 2021 sono state il 26% in meno di quelle di un dipendente senior, circa 183 giornate pro capite contro 248. Una forbice in aumento del 5,9% dal 2014 ad oggi, dietro cui si nasconde proprio una maggiore precarietà e debolezza contrattuale, insieme a una crescente richiesta di flessibilità delle nuove generazioni. 

Meno di 2 lavoratori su 10 ricevono una proposta di lavoro stabile a tempo indeterminato, che dovrebbe rimanere la forma comune di rapporto di lavoro, per tutti gli altri solo forme di ordine precario che rischiano di diventare strutturali. 

Tutto ciò incide sui salari, molto contenuti proprio per il numero ridotto di ore lavorate, ma anche perché le nostre retribuzioni sono tra le più basse d’Europa (secondo i dati OCSE, lo stipendio medio italiano è costante da 30 anni). A ciò contribuisce anche la curva delle professionalità che in Italia tende al piatto, con prevalenza, rispetto ai partner europei, di lavoro scarsamente qualificato: in Italia il profilo più presente è quello delle professioni manuali qualificate. 

I divari occupazionali territoriali, di genere e di età continuano ad essere condizioni strutturali e drammatiche del nostro paese

Bassi tassi di occupazione, specie fra giovani e donne, alto tasso di part time in grande parte involontario (si stimano 2,8 milioni di part-time involontari) e femminile, elevato numero di NEET, ampio ricorso al lavoro autonomo non professionale e/o occasionale, con crescita di quello con forti caratteristiche di dipendenza, consistenti tassi di inattività in ampie parti del paese. 

Va poi considerata la quota consistente di lavoro sommerso: secondo gli ultimi dati disponibili, a inizio 2020 in Italia c’erano 3,2 milioni di occupati irregolari (in condizioni lavorative e salariali spesso di vero sfruttamento), una vera piaga sociale ed economica (l’economia “sommersa” genera ben 76,8 miliardi di euro di valore aggiunto, con importanti differenze a livello geografico). 

Va anche sottolineato che ad alimentare il lavoro sommerso vi è anche l’informalità dei canali di accesso al lavoro: focalizzando l’attenzione agli ultimi dieci anni, in Italia quasi un lavoratore su quattro (23%) ha trovato occupazione tramite amici, parenti o conoscenti, il 9% attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo. In tutto, tra il 2011 e il 2021 i canali informali di ricerca hanno generato il 56% dell’occupazione: circa 4,8 milioni di posti e cioè la metà delle opportunità di lavoro sono state sottratte alla intermediazione “palese”. Questo fenomeno – posta la sua particolare ampiezza –incide sullo sviluppo del lavoro non dichiarato. Se, infatti, è vero che non tutto il lavoro transitato attraverso canali informali è necessariamente irregolare, resta che l’intermediazione informale costituisce una sorta di condizione necessaria per il proliferare del lavoro irregolare (non si offre né si accetta una occupazione irregolare attraverso canali formali). L’informalità, inoltre, gioca un ruolo generalmente negativo sulla qualità dell’occupazione, alimentando un circolo vizioso; infatti, è sia la qualità sia la quantità del lavoro disponibile su un territorio che alimenta (o meno) gli impieghi irregolari. 

In proposito va anche evidenziato come il lavoro sommerso riguardi spesso stranieri in particolari condizioni di vulnerabilità, la cui presenza nel nostro territorio è diventata oramai essenziale perché vi sono interi settori produttivi (dalla ristorazione all’agro-alimentare sino ai lavori di cura) che dipendono in misura rilevantissima proprio dagli stranieri. 

Tali criticità incidono inoltre notevolmente sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, perché condizioni di lavoro non dignitose, salari bassi, creano un lavoro insicuro; non a caso gli incidenti sul lavoro, dai più lievi sino alle drammatiche morti bianche, sono sempre elevatissimi. 

A tutto ciò si aggiunga la crisi demografica (nel 2021 le nascite sono scese sotto le 400 mila) e un paese che invecchia; secondo un recente studio della Fondazione di Vittorio, tra vent’anni il bacino dei potenziali lavoratori subirà una netta diminuzione, -6,8 milioni di persone, mentre la popolazione non in età da lavoro (under 15 e over 64) registrerà una robusta crescita, pari a circa +3,8 milioni di persone) che avrà effetti rilevanti sul mercato del lavoro. Si consideri pure che la caduta delle nascite è legata, oltre che all’andamento demografico della popolazione, a molti altri fattori tra cui mancate politiche di conciliazione, scarsità di servizi e concreti interventi a sostegno della natalità.

Dobbiamo continuare il lavoro fatto in questi anni di Governo, per combattere il lavoro irregolare

Attraverso il Piano nazionale contro il lavoro sommerso occorre garantire salari equi e condizioni di lavoro dignitose, agendo soprattutto sulla prevenzione e sul reinserimento lavorativo delle vittime di sfruttamento e far funzionare i meccanismi di reclutamento. 

In particolare, intendiamo proseguire nel rafforzamento sia dei Centri per l’impiego, proprio per limitare i canali informali di reclutamento, sia delle competenze degli operatori, in perfetta coerenza con le azioni e gli obiettivi del progetto GOL, anche attraverso una formazione mirata degli operatori in grado di coniugare le conoscenze giuridiche del fenomeno del sommerso in tutte le sue dimensioni (ivi compreso il collegamento con il fenomeno migratorio), le attività di prevenzione dello sfruttamento lavorativo e le conoscenze specifiche dei mercati del lavoro locali (con particolare riguardo ai diversi settori produttivi), favorendo anche meccanismi di raccordo con gli operatori del privato sociale.

Analogamente intendiamo mettere a sistema quei meccanismi virtuosi, già presenti nel nostro ordinamento, che consentono di misurare la regolarità di un’attività produttiva in relazione alla presenza di manodopera; il riferimento è al cosiddetto Durc sulla congruità della manodopera, reso operativo nel 2021, nel settore dell’edilizia. Dobbiamo estendere tale meccanismo ad altri settori produttivi, perché esso consente efficacemente di determinare una regolarità che, rispetto al Durc tradizionale, non è solo contributiva e formale (presentazione delle denunce obbligatorie e pagamento dei contributi precedentemente denunciati), ma anche sostanziale e riferita proprio alla manodopera. 

Riteniamo prioritario, in questa logica, contrastare il lavoro sommerso nel settore dei servizi alla persona, a cui si guarda spesso con poca attenzione, rendendo più facile per le famiglie gestire le assunzioni regolari di personale domestico o di cura e rendendolo meno costoso, anche attraverso mirate agevolazioni fiscali. Al contempo, intendiamo aumentare, avvalendoci dei fondi del PNRR, l’offerta dei servizi sociali, in particolare per l’infanzia e gli anziani, così da ridurre l’abnorme ricorso al lavoro domestico e di cura irregolare.

Per chi lavora dobbiamo poi garantire una retribuzione dignitosa, un salario minimo, per aiutare quel 23% di lavoratori che percepisce meno di 780€ al mese. Per farlo riteniamo sia opportuno valorizzare la contrattazione collettiva autentica e i con tratti comparativamente più rappresentativi per tutelare i lavoratori e le lavoratrici e contrastare le centinaia di contratti pirata che fanno dumping su salari e condizioni di lavoro. 

Troppo spesso i bassi salari, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento dei lavoratori vengono utilizzati per abbattere i costi di produzione, in una spirale imposta, in misura sempre maggiore, dalla struttura delle filiere di riferimento che vanno responsabilizzate per evitare che spingano i soggetti imprenditoriali più piccoli sempre più verso la compressione dei costi del lavoro. 

Problemi come questi, soprattutto la precarietà del lavoro, vanno contrastati con un approccio di sistema, al quale abbiamo lavorato con i sindacati e continueremo a lavorare. Il che significa sfoltire la giungla di contratti precari, contrastare il part time involontario, spostare l’ingresso per i giovani nel mercato del lavoro dalla precarietà dei tirocini verso le tutele dell’apprendistato. Significa vincolare gli oltre 6 miliardi annui di incentivi pubblici e decontribuzioni solo ai contratti di lavoro stabili. Nella lotta alla precarietà non possiamo neppure prescindere dal rivedere la normativa in tema di licenziamenti, non più in grado, dopo le ultime riforme, di garantire rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi intimati dai datori di lavoro, come più volte ribadito dalla Corte costituzionale, intervenuta sul tema, a partire dal 2018, con ben 5 pronunce.

Combattere la precarietà significa anche puntare su un lavoro sempre più sicuro: la tutela della salute dei lavoratori e delle lavoratrici resta per noi una priorità. A tale fine intendiamo proseguire nello sviluppo di sinergie incentrate sulla condivisione di banche dati e fonti informative, l’idea chiave alla base della task force, a cui partecipa anche l’Inail, promossa dal Ministro Orlando con le seguenti finalità: individuare e contrastare i fenomeni di illegalità, di dumping salariale e sociale, di evasione ed elusione normativa che caratterizzano in maniera determinante il settore della logistica e del trasporto merci; mettere a sistema strumenti di analisi volti alla valutazione dei rischi e alla diagnosi precoce delle malattie professionali; favorire la competitività delle imprese operanti nel settore, incentivando la compliance ovvero il rispetto spontaneo delle regole, l’innovazione e la sicurezza.

La qualità e la sicurezza del lavoro vanno protetti e tutelati anche laddove la figura del datore di lavoro si nasconde e svanisce dietro sistemi algoritmici di gestione dei rapporti di lavoro o laddove il lavoro venga veicolato ed organizzato mediante piattaforme digitali. Vanno creati spazi partecipativi negli ecosistemi digitali, creando diritti di informazione e consultazione sindacale in termini di trasparenza algoritmica e riconoscimento di diritti universali di dignità e qualità del lavoro per evitare che le nuove forme di lavoro digitale si trasformino in nuove e odiose forme di sfruttamento e precariato. 

Migliorare la condizione del nostro mercato del lavoro significa anche riconoscere diritti a tutti indipendentemente dalla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro. È cresciuta in questi anni e non solo nella economia delle piattaforme, la percentuale di lavoratori autonomi con caratteristiche di dipendenza. 

Per questo servono interventi regolatori anche nel campo del lavoro autonomo e parasubordinato. 

• Abolire le collaborazioni autonome occasionali o intervenire sulle stesse almeno con obbligo di versamento contributivo su tutto il compenso.

• Potenziare la normativa sull’equo compenso delle partite IVA, ordinistiche e non, specialmente quando ad essere committente è la Pubblica Amministrazione. Rafforzare le tutele in caso di malattia, maternità e congedi parentali per i lavoratori autonomi non iscritti a casse. 

• Intervenire sulle collaborazioni etero-organizzate, cui si applica la disciplina della subordinazione, eliminando le possibilità di deroga o limitandone possibilità di utilizzo. 

L’Italia ha bisogno anche di nuovi strumenti per integrare i redditi dei lavoratori poveri. L’introduzione di una misura di in-work benefit (letteralmente trasferimento a chi lavora), permetterà di integrare il reddito dei lavoratori poveri, senza disincentivare la partecipazione al mercato del lavoro e creando uno strumento unico, di semplice accesso e coerente con le altre misure adottate in questi anni (a partire da reddito di cittadinanza e assegno unico e universale per i figli). Si tratterà di un trasferimento individuale, modulato sulla base del reddito e assegnato ai lavoratori che guadagnano meno di una determinata soglia (individuata dopo un lavoro di negoziazione con le parti sociali). Per evitare distorsioni questo trasferimento sarà introdotto dopo l’approvazione del salario minimo, così che non si trasformi paradossalmente in un incentivo al lavoro povero. 

Si rivolge invece a chi rimane ai margini del mercato del lavoro la nostra proposta di revisione del Reddito di Cittadinanza nel solco di quanto stabilito dalla Commissione Saraceno. È poi necessario rivedere tutti gli aspetti relativi alle politiche attive, che non si sono dimostrati fin qui efficaci per rendere conveniente la ricerca e l’accesso all’occupazione. Infine, proponiamo di abbassare a 5 anni il requisito di residenza in Italia necessario per ricevere il RdC: l’attuale requisito di 10 anni non esiste in nessun’altro paese europeo.

Serve un rinnovato ruolo dello Stato, a partire dagli appalti pubblici. Nella riforma del codice degli appalti che il futuro Governo sarà chiamato ad adottare è in dispensabile non solo salvaguardare le condizionalità sociali presenti nella norma tiva attuale, ma occorre rafforzarne la portata, secondo un principio riconosciuto dalla stessa Commissione Europea (nei trattati come nelle specifiche direttive in materia) di condizionalità ambientali e sociali come potestà dei legislatori nazionali, anche a fronte degli obiettivi che l’Europa stessa ritiene di pari cogenza con la libertà del mercato e non a caso contenuti nello stesso PNRR (la salute e sicurezza dei lavoratori, il contrasto all’economia sommersa, il rispetto dei contratti collettivi nazionali, la salvaguardia dei livelli occupazionali nonché la sostenibilità ambientale, il contrasto alla criminalità, le priorità trasversali relative alle pari opportunità di genere, generazionali e territoriali, ecc.). Vogliamo inoltre estendere a tutti gli appalti pubblici la clausola di premialità per giovani e donne che il PD ha voluto inserire in via sperimentale nel PNRR, così da sostenere le imprese che si impegnano a creare lavoro stabile e rafforzare l’inclusione sociale. 

Nel valorizzare il ruolo dello Stato, intendiamo anche riconoscere e potenziare il valore dei dipendenti pubblici e le loro professionalità, specie in considerazione delle funzioni strategiche che sono chiamati a svolgere nella gestione dei progetti collegati al PNRR. 

Accanto a ciò, occorrono seri piani di investimenti per rilanciare l’economia e favorire la crescita dell’occupazione, quella di qualità, dando priorità ai giovani e alle donne. 

È necessario agire affinché le politiche del lavoro possano avere possibilità di successo dentro una strategia complessiva che le coniughi con interventi sulla formazione permanente, sulla formazione continua, in maniera coerente con le politiche del sistema dell’istruzione, a partire dall’innalzamento dei livelli di istruzione, in maniera tale da poter rendere esigibile, per tramite di strumenti contrattuali, il diritto soggettivo all’apprendimento permanente e alla formazione per tutti. Ciò è oggi tanto più urgente rispetto alle possibili prospettive di sviluppo del Paese chiamato a confrontarsi con le sfide dettate dalle due grandi transizioni, ecologiche e digitali, per altro già in essere nel mercato del lavoro, proseguendo il lavoro iniziato con la riforma degli ammortizzatori sociali e mirando sempre più a progetti formativi di riqualificazione professionale. In tale ottica occorre rilanciare a livello europeo il tema della transizione giusta, istituendo uno strumento di protezione dei lavoratori impattati dalle transizioni, uno SURE 2.0, finanziato da debito comune europeo, prevedendo un focus specifico sui settori colpiti dalla transizione ambientale anche al fine di sostenere innovativi progetti per la formazione continua e lo sviluppo delle competenze richieste dai nuovi lavori.

In tale ottica occorre rendere strutturali il Fondo Nuove Competenze e il contratto di espansione e rafforzare la connessione tra il sostegno al reddito in costanza di rapporto e le politiche formative e di accompagnamento alle transizioni produttive e occupazionali. La gestione delle due grandi transizioni incide anche su nuovi modelli organizzativi e su nuove modalità di esecuzione della prestazione. 

Prioritario per noi è anche gestire le migrazioni in modo più funzionale al nostro mercato del lavoro. In una società dove la crisi profonda del welfare state è stata, almeno parzialmente, “soccorsa” e contenuta grazie a centinaia di migliaia di baby sitter, colf, badanti, assistenti sanitari, braccianti agricoli, provenienti dall’estero, in un sistema scolastico pubblico dove i minori stranieri sono oltre 800mila e contribuiscono alla formazione di un’identità collettiva, certo composita, ma vitale, significa affrontare il tema dei migranti con un nuovo approccio, di tipo strutturale e di vera integrazione, senza vivere la presenza degli stranieri come una minaccia. In tal senso intendiamo promuovere politiche attive che individuino le necessità del mer cato del lavoro e regolino gli arrivi degli stranieri a seconda delle caratteristiche di cui abbiamo bisogno, investendo su formazione e politiche di accompagnamento e modificando le regole di ingresso, assolutamente deficitarie e complici delle pre senze irregolari. L’obiettivo è portare avanti una strategia culturale e politica che metta fine a tutti quei luoghi comuni che inquinano qualsiasi tentativo di razionali ed equilibrate politiche dirette all’inclusione e all’integrazione sociale, politiche dove il lavoro, sicuro e di qualità, deve rappresentare per tutte e tutti lo strumento per “lo sviluppo della persona umana” (art. 2 Cost.), mettendo al centro, attraverso un programma comune, i bisogni materiali condivisi (salariali, abitativi, sanitari, sociali) di tutti i soggetti (italiani e stranieri), specie i più vulnerabili. 

In questa prospettiva intendiamo valorizzare, d’intesa con le parti sociali, il lavoro agile, in grado sia di favorire le esigenze di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, sia di impiegare le risorse umane in modo maggiormente rispettose della sostenibilità ambientale e del benessere collettivo (attraverso la riduzione degli spostamenti casa-lavoro e, conseguentemente, dell’utilizzo dei mezzi pubblici e di quelli personali, anche per ridurre le emissioni di agenti inquinanti) e migliorare, nel contempo, la  vivibilità dei centri urbani e rivitalizzare i piccoli borghi sempre più spopolati.

Nei tempi più recenti emerge dal tessuto sociale una spinta a ridefinire il rapporto fra lavoro e vita personale e familiare. C’è una particolare attenzione, soprattutto (ma non solo) delle nuove generazioni al rapporto fra spazi di autonomia e indipendenza e impegno professionale. Il lavoro è un mezzo di riscatto sociale ma rischia di diventare opprimente quando non consente spazi di libertà e diventa pervasivo dell’esistenza delle persone. Stanno maturando le condizioni per realizzare una riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione e questo obiettivo è possibile raggiungerlo, anche attraverso tecniche premiali e incentivanti, con un contestuale miglioramento dell’efficienza produttiva dell’impresa. Senza preconcetti e con la mente aperta alle esperienze che stanno maturando in tutto il mondo  si può trovare un nuovo equilibrio che offra maggiore libertà alle persone e maggiore efficienza alle imprese. 

Queste sono le battaglie che ci caratterizzano, sulle quali siamo e saremo al fianco di tutti i lavoratori e le lavoratrici, soprattutto coloro che sono ai margini della società, per ridare loro dignità, sicurezza e fiducia nel futuro. Non dimentichiamoci che le basse prospettive salariali e le occupazioni precarie incoraggiano i giovani ad abbandonare sempre più frequentemente il nostro Paese per trasferirsi in centri urbani con più alto tenore di vita e lavorativo: uno degli elementi del fenomeno della fuga di cervelli è proprio questo.

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