Disuguaglianze anche nel decreto successioni

Quest’anno il Governo ha riaperto il dossier sulla riforma fiscale in merito al tema successioni. La proposta, approvata il 7 agosto 2024, apporta modifiche princialmente in tema di sburocratizzazione e operatività, con poche modifiche a imponibile e gettito fiscale. Ma quello della successione è un tema determinante, che riteniamo debba essere affrontato in maniera più decisa in virtù del contesto economico che stiamo vivendo.

La situazione disuguaglianze in Italia è fattore conosciuto. Considerando le ultime rilevazioni di Bankitalia, sappiamo che il 5% delle famiglie più ricche in Italia possiede circa la metà della ricchezza totale. Il divario fra ricchi e poveri è rimasto stabile dagli anni del COVID, tuttavia esso è aumentato in precedenza a partire dalla crisi dei debiti sovrani dei Paesi del Sud Europa. Gran parte della ricchezza delle famiglie italiane è rappresentato dalle abitazioni, che sono la principale forma di investimento nel nostro paese, a differenza di paesi a più forte matrice capitalistica.

Ma il gap di ricchezza che emerge è anche un gap generazionale. La forbice di ricchezza fra over-65 e under 40 è aumentata significativamente dai primi anni ’90. Sempre secondo i dati Bankitalia, nell’ultimo trentennio la ricchezza pro-capite di famiglie con persona di riferimento fra i 30 e i 40 anni è passata da circa €25 mila a €79 mila, mentre quella di famiglie con persona di riferimento ultra-65 anni è aumentata da €40 mila a €172 mila. Il gap è quindi aumentato da €15 mila a €93 mila, circa 6 volte. Come evidenziato da Marco Leonardi in un suo recente articolo su Il Foglio, nel 1995 gli ultra 80enni detenevano circa il 30% degli immobili, mentre ad oggi questa percentuale ammonta al 60%. Questi trend racchiudono in sé una narrazione evidente, ossia che il tema della disuguaglianza della ricchezza è diventato sempre più preponderante negli ultimi anni, certificando che spesso le classi sociali si identificano in classi generazionali. Tuttavia, rimane da considerare che il trasferimento inter-generazionale di ricchezza cambia sensibilmente quest’ultima considerazione, accentrando la ricchezza fra alcune classi di giovani piuttosto che in altre.

In tale quadro, il sistema fiscale italiano è obsoleto e parzialmente regressivo all’aumentare della ricchezza.

Obsoleto perché, pur avendo subito varie modifiche nel corso degli anni, non è mai stato sottoposto a un cambiamento radicale che riuscisse a colmare lo spostamento dell’accumulo di ricchezza dal salario al patrimonio. In altre parole, se nel secolo scorso l’espansione economica del nostro paese ha fatto si che vi fosse un accentuato aumento dei salari con conseguente aumento della ricchezza delle famiglie, ad oggi ci troviamo in una situazione inversa, con una tendenziale diminuzione dei salari reali e un accumulo di ricchezza che è in gran parte fondato sulla trasmissione inter-generazionale. Il nostro fisco non è dunque stato adattato in modo appropriato a questo nuovo scenario, continuando a esercitare una maggiore pressione relativa sul salario piuttosto che sul patrimonio. Il risultato è che un sistema che tutela il patrimonio e tassa il salario produce una maggior concentrazione e conservazione della ricchezza e limita fortemente la capacità degli individui di modificare la propria posizione sociale.

Regressivo perché (1) vi sono elementi di flat tax che favoriscono le famiglie più facoltose; ad esempio, le rivalutazioni di investimenti finanziari, i quali rappresentano uno share più ampio del portafolgio patrimoniale delle famiglie più ricche,  beneficiano di una flat tax del 26%; o ancora, gli affitti di immobili beneficiano di una cedolare secca del 10% (in gran parte dei grandi comuni); (2) i contributi sociali, e in particolar modo quelli previdenziali, sono anch’essi soggetti a trattamento di flat tax, con aliquota standard a carico del dipendente generalmente fra il 9 e il 10%; ma, soprattutto, esiste un massimale contributivo per alcune categorie di lavoratori, ossia il reddito massimo di riferimento oltre cui non sono dovuti ulteriori contributi previdenziali, fissato a una somma di circa €114 mila per il 2024.

Inoltre, l’Italia è uno fra i paesi più generosi fra i paesi del G7 in tema di tassa di successione. Nel nostro paese, la tassa di successione minima di cui godono coniugi e parenti in linea retta ammonta al 4%, con una franchigia di €1 milione. In Germania, lo soglia di esensione raggiunge un massimo di €500 mila e le aliquote presentano un tasso di progressività molto più dettagliato che parte da un minimo del 7% sulle somme eccedenti. Negli Stati Uniti, le soglie di esenzione sono molto più alte, tuttavia le aliquote ammontano al 40%, proprio in vitù del grande numero di multi-milionari presenti nel paese.

Nel pratico, legislazioni alla mano, un’eredità di 1 milione di euro ad un parente in linea diretta in Italia non genera nessun’imposta di successione, in Spagna genererebbe circa €335.000, in Francia €270.000, nel Regno Unito €245.000 e in Germania €115.000 (2020 Osservatorio CPI dell’Università Cattolica). Una discrepanza evidente che diventa ancor più significativa se paragoniamo il gettito fiscale dell’Italia proveniente dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni: 1.043 milioni di euro nel 2022, contro i 3,5 miliardi della Spagna (più di tre volte), i 9,8 miliardi della Germania (dieci volte) e i 18,6 miliardi della Francia (quattordici volte). Parliamo di risorse importanti anche se espresse in percentuale del PIL per meglio compararle: tale imposta “vale” lo 0,05% del PIL in Italia contro lo 0,7% in Francia e lo 0,3% in Germania, Spagna e Regno Unito (Dati OCSE rielaborati da CPI Cattolica).

Anche solo allineandosi alla legislazione tedesca, inglese o spagnola, senza per forza confrontarsi con quella francese (che riteniamo in ogni caso il modello migliore e più capace di redistribuire la ricchezza), l’Italia incasserebbe 5 miliardi in più all’anno: risorse preziosissime per combattere le diseguaglianze crescenti e per lo sviluppo del Paese.

Queste disparità diventano ancora più ampie se si considera che in Francia e in Spagna esiste, oltre all’imposta su donazioni e successioni, anche un’imposta patrimoniale sui grandi patrimoni annuale, che quindi anche prima del momento ereditario sottopone a tassazione i patrimoni, contribuendo alla finanza pubblica e riequilibrando la tassazione tra lavoro e ricchezza. Per dare un’idea, le due tassazioni, entrambe su patrimoni particolarmente ampi, hanno generato, con gli ultimi dati disponibili, circa 2 miliardi in Francia (2021) e 700 milioni in Spagna (2023), gettito raccolto ogni anno, e non una tantum come per le imposte di successione.

L’Italia necessita dunque di un’ampia riforma del fisco che riesca in qualche modo a spostare il peso fiscale dalla produzione (il lavoro) alla ricchezza (il patrimonio e annesse rendite). Sia ben chiaro, una tassa di successione più ampia e articolata non deve avere il mero scopo di risanare le casse dello Stato, in quanto riteniamo che una misura del genere sia potenzialmente inefficiente vista la scala del gettito potenziale citato in precedenza. Tuttavia una tassa di successione dovrebbe essere indirizzata a una diretta ridistribuzione verso le famiglie meno abbienti e verso i giovani. Ad esempio, un’idea che abbiamo proposto in precedenza è quella di un’esenzione delle tasse da lavoro per i primi due anni di contribuzione della vita lavorativa di un individuo, il che aiuterebbe in maniera sostanziale i giovani e li disincetiverebbe dall’abbandonare il nostro paese. Una strutturale riduzione del cuneo fiscale sarebbe un forte incentivo al lavoro, al contrario di eredità e ricchezza le quali avrebbero un efftto opposto.  

La recente azione di governo è in sostanza del tutto insufficiente ad affrontare le sfide correnti di aumento della disuguaglianza, fuga dei cervelli e stallo dei consumi.

da DEMO di Andrea Fodale e Paolo Romano

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